27.10.12

Com’è bella Parigi!





L’abbaglio del successo, nel lavoro, nel corso della carriera, se misurato in termini puramente materiali o sociali quali il denaro o la reputazione, non è un nutrimento sufficiente per le nostre anime né costituisce una base solida per un’esistenza realmente soddisfacente o interessante.
Robert H. Hopcke, Nulla succede per caso.

Partendo dal presupposto che ogni esperienza e ogni confronto, con una cultura diversa dalla propria, siano fondamentali per la propria crescita professionale ed interiore e che solo attraverso tali confronti si possa giungere ad una serie di conclusioni allora, attraverso queste parole, voglio rispondere a tutti coloro che in quest’ultimo periodo continuano a chiedermi chiarimenti e precisazioni sulla mia scelta di tornare in Italia e a Napoli.
Preciso innanzitutto che queste sono le mie conclusioni e come tali vanno intese quindi potranno essere condivise da qualcuno e sembrare assurde per altri.
Ultimamente, dopo diversi anni di girovagare, mi sono più volte chiesto cos’è che veramente mi faccia sentire in pace con me stesso e contemporaneamente alleggerisca quel continuo stato d’inquietudine che perennemente vive in me.
La conclusione, anche se può sembrare scontata, è molto semplice.
La vita è una e va vissuta il più possibile accanto alle persone e ai luoghi che si amano!
Entrambi, persone e luoghi, sono fondamentali perché solo attraverso di essi si trae la forza necessaria per creare, produrre e sentirsi vivi!
Parigi, con il sole e con la pioggia, appare agli occhi del mondo… bellissima!
Indubbiamente questo è vero ma per uno come me che ha bisogno di continui stimoli, tutto questo non basta.
Il più delle volte, ai miei occhi, Parigi appare triste!
Come se fosse stata completamente svuotata della sua identità.
Sacrificata e sfruttata fino all’ultimo centimetro quadrato, è diventata, per la gioia dei turisti, una sorta di Eurodisney con la convenienza di non dover arrivare fino a Marne la Vallée!
Luoghi come Montmartre, completamente snaturati! Invano, sulle gradinate de la Basilique du Sacré Cœur, puoi cercare le tracce del passaggio di una qualsiasi Amélie Paulain parigina e rimanere invece inebetito alla vista di una massa di turisti che cantano, ballano e fanno anche la ola!
Ed il popolo francese, quello vero, quello che ha fatto la rivoluzione, quello grazie a cui si sono tramandate sia la storia che le tradizioni del paese… dov’è?
Non ce n'è più traccia.
Il nuovo popolo francese, quello che ogni giorno si smazza, è fatto dagli extracomunitari ma con le loro origini, la loro lingua e la loro cultura che è molto diversa da quella del paese che malvolentieri li ospita e che si fregia invece di una completa integrazione.
Il popolo parigino è cresciuto, è diventato sempre più ricco e borghese.
Si è trasformato in “bobos”, cioè in bourgeois bohémes, classe sociale individualista e liberale che si dichiara favorevole al multiculturalismo e dice di disprezzare il razzismo, ma che non usa il metrò perché puzza e non va nel 18e perché è il quartiere nero…
Insomma, un popolo, né di destra né di sinistra che ha l’unica certezza di aver ormai perso i principi di egalité e fraternité e che ha fatto suo solo il principio di liberté elevandolo all’apice della sua espressione fino a trasformarlo nel “faccio quello che mi pare e me ne fotto del mondo” nella più totale mancanza di rispetto verso il prossimo!
Forse Parigi non s’immaginava, che in tempi di pace, potesse essere invasa da un popolo diverso dal suo e non ha saputo reagire.
I Bobos si sono chiusi in se stessi, decretando la morte di questa città e rendendola molto più provinciale di quanto si possa immaginare.
Discorso diverso per Napoli, la città in cui sono nato.
Da sempre dominato da qualcuno (greci, romani, bizantini, normanni, svevi, spagnoli, francesi e austriaci) il popolo napoletano si è difeso in modo furbo, senza sentirsi superiore agli invasori si è aperto e mostrato agli stranieri.
Accettando le diversità ed evitando lotte tra culture diverse ha fatto si che la sua forte identità si tramandasse fino a noi, scongiurando la sua estinzione!
Oggi, il popolo napoletano esiste ancora, è vivo e continua a credere nelle proprie tradizioni, ad imporre alla città i suoi tempi, la sua cultura e la sua lingua che prosegue a tramandarsi tra le nuove generazioni.
Agli occhi di molti siamo, incomprensibilmente, una comunità di dannati e lazzari che si arrabatta per guadagnarsi la giornata in una città dove da sempre tutto è incerto e precario solo perché, siamo stati noi a volere che fosse da sempre così ed è proprio da questa continua incertezza che deriva la nostra capacità di adattamento ad ancor di più la nostra capacità di saper affrontare e gestire gli imprevisti.
Certo, in questa città, il quotidiano non è semplice, economicamente e politicamente stiamo a zero.
La corruzione è a livelli altissimi, la delinquenza dilaga e coinvolge sempre di più i giovanissimi, ma basta guardarsi intorno per capire quante risorse mal sfruttate sono disponibili, quanta gente onesta e quanti giovani hanno voglia di fare e di fare bene.
Napoli è e sarà sempre così e… solo chi l’ha vissuta, e conosce il trip del suo assurdo sistema, può comprenderla.
Non illudiamoci pensando che le cose cambieranno perché questo probabilmente non avverrà mai ma io sono convinto, che in questo momento così difficile, qualcosa di buono si possa ancora fare.
Non ho di sicuro la magica soluzione per risolvere i 1000 problemi di questa città ma ho la certezza che, ora, voglio stare qui nella mia terra, perché se anche riuscissi a trasmettere un po’ di quello che ho imparato ad un solo giovane napoletano sarei ancora più felice di quanto lo sono adesso e perché sono convinto che il futuro sarà di chi ora non possiede nulla se non la forte volontà di voler concludere qualcosa!

Francesco Tramontano




4.10.12

Michelangelo Iacono e la storia della tradizione del coniglio all’ischitana.




Eccomi a scrivere di emozioni, sentimenti e ricordi che mi accompagnano lungo il percorso di questa professione un po’ fuori dagli schemi, fatta di cucine, persone, arte, incontri, odori, profumi, tradizioni e la consapevolezza di voler condividere tutto ciò con un numero sempre crescente di amici.
Michelangelo Iacono è giovanissimo, è un ragazzo entusiasta della vita, curioso delle cucine altrui, è una persona forte ed anche molto sensibile.
Con lui si può discutere di tutto ma soprattutto è bello ascoltarlo quando parla, con una convinzione da adulto, dell’amore per il luogo in cui è nato, del suo impegno nel sociale e delle tradizioni della sua Fontana (Serrara – Fontana, Isola d’Ischia).
Qualche tempo fa, prima di una mia partenza da Ischia, mentre ci salutavamo, lui mi ha guardato dritto negli occhi e con quel sorriso di chi vuol suggerirti qualcosa, mi ha detto… Francè, scrivi della mia vita sul tuo blog!
Stesso quella sera gli ho mandato un messaggio in cui gli dicevo che sarei stato felicissimo ma che nessuno meglio di lui poteva parlare di se stesso.
Dopo un breve scambio di messaggi, Mike ed io, abbiamo deciso che sarà lui, in prima persona, a raccontarci le sue origini e la storia della tradizione del coniglio all’ischitana.
Buona lettura, Francesco Tramontano


Per la photogallery si ringrazia l'associazione Pro Serrara Fontana 
Per la versione solo testo con immagini in photogallery cliccare qui


La storia della tradizione del coniglio all’ischitana, di Michelangelo Iacono

 

Fontana è una piccola frazione del comune di Serrara Fontana ad Ischia.

Anticamente denominata "merecoppe”, si, perché prima l'isola d'Ischia era divisa in due "merecoppe" e "merevascio".
La prima stava per mare di sopra (zona collinare) ricca di vegetazione e bestiame, ottima uva e soprattutto grandi fosse nei boschi per conservare la neve utile in estate.




Battuta di caccia in zona “marecoppe”



La chiesa di San Nicola sul Monte Epomeo

Momento della vendemmia


La seconda stava per mare di giù (zona sul mare), ricca di pescatori e quindi con tanto pesce e di tutto ciò che si poteva prendere dal mare.
In questa piccola isola, bellissima e soprattutto verde, avveniva un vero e proprio "baratto".
Gli abitanti della zona alta "merecuppesi" scendevano a "valle" per portare i propri prodotti (funghi, ortaggi, verdure, conigli...) e scambiavano le loro pietanze con i pescatori vivendo cosi autonomamente anche se, su un’isola...
Insomma ad Ischia non mancava proprio niente, c'era tutto anzi si esportava il vino in terraferma.



Discesa a valle di un “marecuppese”



Nel vigneto



Ecco il vino, ingrediente fondamentale del piatto di cui sono orgoglioso di conoscere e forse di saper fare abbastanza bene... il coniglio all'ischitana!
Il coniglio era ed è sacro qui da me! L'undicesimo comandamento a Fontana è:
"mangia il coniglio la domenica, e in ogni occasione di festa".
E' tradizione, infatti, fare il coniglio quando ci sono ospiti a casa o quando ci si riunisce per una festa!
Oggi non esiste quasi più il coniglio allevato nelle "fosse" o nelle "cajole" ma prima ce ne erano tanti di allevatori e mio nonno era uno di quelli!
Il nonno mi faceva prendere il coniglio più grosso nella “cajola”.
Io ero scaltro e mingherlino e riuscivo a beccare il coniglio per le orecchie e non appena l’avevo preso, mio nonno era molto attento a toccare la pancia dell'animale per controllare se era una CUNEGLIA FEMMINA e se era PRENA (se era gravida). In quel caso il mio gioco iniziava di nuovo, dovevo lasciarla e puntare su un altro coniglio!
Il nonno allevava i conigli avendo cura di nutrirli con determinati tipi di erbe tra cui i "palieri" e le "fasolare".
Ci sono delle foto che raccontano un pò dei miei antenati impegnati nella raccolta di erba e nella vendemmia, di cui una bellissima immagine che mostra come il coniglio veniva allevato in casa!


Conigli allevati in casa


Indubbiamente il profumo del vino che sfuma il coniglio insieme alle erbette è quello che mi fa rivivere i miei nonni e quei momenti della mia infanzia! Credo di essere fortunato ad aver vissuto delle cose di questo tipo, infatti, mio nonno mi ha trasmesso l'amore per la natura, per l'agricoltura e per le cose genuine del tempo che fu.
Nella sua ignoranza mi ha insegnato tante cose e quante, me ne avrebbe potuto insegnare ancora...
Personalmente sono orgoglioso di essere un "merecuppese" e ne sono fiero!
Amo, infatti, definirmi tale…
Tutti mi chiedono quale sia il trucco per un buon coniglio, io rispondo sempre allo stesso modo "passione e pipernia".
La pipernia è una specie di timo che io metto nel pesto di erbette rigorosamente spestato a mano in un mortaio di legno!
Cerco di mantenere integre le tradizioni di questa pietanza rispettando tutte le usanze, avendo cura della cottura, lenta, magari su una vecchia cucina a legna e magari in un tegame di terracotta.
I pezzi pregiati di quest’animale sono gli intestini, le interiora, la testa e soprattutto la gamba di dietro!
- La gamba di dietro va imbottita con aglio, prezzemolo, sale doppio, peperoncino.
- L'intestino va prima messo a macerare in sale doppio e succo di limone per disinfettarlo e infine sciacquato e risciacquato con vino per poi avvolgerlo intorno ad un bel gambo di prezzemolo.
- Il fegato va cotto alla fine della cottura dell'intero animale per mantenerne la fragranza e il sapore.
- La testa è la parte che darà sapore a tutto il sugo.
- "il mascariello" e il "cervello" sono le parti che vengono dati ai bambini, pezzi che daranno un vero e proprio battesimo del coniglio, per poi passare alla gambetta piccola che li accompagnerà sino all'età di otto-dieci anni per poi passare ai pezzi più grossi, come una vera e propria gerarchia conigliale!
E’, infatti, un rito "salire di livello" a secondo dell'età!
In sintesi s’inizia che si è bambini mangiando il mascariello, poi si mangia la gambetta, poi il pezzo di mezzo, infine il capo famiglia… la coscia grande!
Io venticinquenne sto nella fase del pezzo di mezzo per farvi capire!

Io oggi non sono qui per scrivere la ricetta del coniglio all'ischitana, perché ne troverete svariate e tutte diverse, sono qui solo per farvi capire l'importanza che questo piatto ha per noi isolani e quanto a me personalmente fa "viaggiare" attraverso odori, ricordi, tradizioni e passioni che mi accomuna a tutti i miei colleghi che fanno questo lavoro prima per amore e poi per gioco, e chi come me e Francesco ci buttano dentro anche un po’ di anima ed emozioni... Grazie Francesco.

Michelangelo Iacono
"il merecuppese"